Ombre
Il gruppo, circa 40 persone, seguiva una guida lungo un itinerario nella campagna, nei pressi di una cava di gesso, in un caldo giorno di giugno. Lasciate le auto sulla strada, già dopo circa cento metri ci fu una prima sosta, sotto una specie di tettoia (“approfittiamo di quest'ombra per parlare un po' di ciò che vedremo durante il giro”). Un luogo di lavoro, apparentemente dismesso già da qualche tempo, anche se capire a cosa fosse servito (o ancora servisse) non era facile. Peraltro, lo scopo della visita guidata era un altro, e della tettoia nessuno parlò. Ma eravamo tutti lì sotto, ascoltando la guida, e intanto badando a dove si mettevano i piedi, perché lo spazio era ingombro di cose che, se non impedivano di stare tutti lì sotto, richiedevano comunque attenzione, e anche cautela, per evitare di inciamparvi. C'era soprattutto un enorme tubo di cemento, lungo forse un metro e largo altrettanto, coricato, teneva una buona parte dello spazio e, forse per un'istintiva precauzione, nessuno vi si appoggiava. Poco lontano, a terra, un pezzo piuttosto grande di lamiera ondulata, arrugginito, e coperto in parte da certi rovi, radi ma molto lunghi, che gli passavano sopra spingendosi anche ben oltre. Era difficile non infilare un piede fra i rovi, per chi si muoveva là sotto, e questo movimento si trasmetteva alla lamiera, che risuonava, sovrapponendosi, di quando in quando, alle parole della guida. Lo spazio era delimitato su due lati da altrettanti muri di cemento, uno dei quali, alquanto massiccio, anche se sgretolato, terminava a circa due metri e mezzo da terra, formando quello che da sotto (salirci era impossibile) appariva come un piano rialzato, di uso indecifrabile. Questo muro faceva angolo con un altro, più normale, e nei pressi dell'angolo pendeva, arrivando a circa due metri da terra, un vecchio tubo di plastica, lungo più di un metro per circa 10 cm di diametro, sommariamente legato alla struttura superiore della tettoia con del fil di ferro, a sua volta arrugginito. Questa presenza era forse la più inquietante (si poteva anche temere che il tubo si sfilasse dal giro di fil di ferro, e cadesse su qualcuno) e più di un componente del gruppo non lo perdeva di vista, mentre la guida (un geologo) proseguiva nel suo discorso. Che consisteva in una serie di informazioni scientifiche sulle caratteristiche morfologiche del sito in cui ci trovavamo, con molti riferimenti a tempi lontanissimi, quelli in cui accaddero certi fenomeni, che diedero al sito la sua forma, così come può apparire anche alla vista di chi lo percorra. Ma la forza oscura e potente della tettoia sotto la quale sostavamo era tale da rendere difficile ad alcuni (o molti) fra gli astanti concentrarsi sulle parole del geologo, che portavano lontano, ma forse non con quanta energia ci sarebbe voluta per distoglierci dall'attenzione verso quel luogo misterioso, sotto la tettoia. La sosta durò all'incirca dieci minuti, dopodiché riprendemmo il cammino per raggiungere i vari punti previsti nel programma.
Dopo circa un'ora e mezza, la visita era terminata, e il gruppo, ora in ordine sparso, disunito, si diresse verso le auto, percorrendo la stessa via dell'andata. Il caldo intanto era aumentato, e camminare sotto il sole, nel meriggio, molto faticoso, anche perché all'andata si era discesi, ora bisognava salire. Per i primi due o tre del gruppo (ma anche per gli altri che arrivarono in seguito, alla spicciolata), la presenza della tettoia, e dell'ombra che tutt'ora vi si trovava al di sotto, fu provvidenziale, perché una nuova, breve sosta lì permetteva di riprendere fiato, sfuggendo per qualche minuto al sole fortissimo. Soprattutto per questi motivi (lo sfinimento e lo stordimento, per la fatica e il caldo), quasi nessuno parlava. Ma questo silenzio era anche una forma di rispetto, o di timore, verso quel luogo severo e vagamente minaccioso, a cui ora dovevamo una breve pausa di sollievo dall'azione micidiale del sole, la salvezza forse.
c f, 18 giugno