Monowe a Torino
Avanti!
Buon giorno, posso parlare?
Si, Chi sei? O meglio … credi di essere, credo di essere il mio psichiatra?
Mi occuperò io di te, di me, per ora. Sì, potrei essere un medico, sul mio cartellino ci sarebbe scritto nome, matricola, insomma…tutto quello che ti serve sapere, casomai volessi denunciarmi…che fai, non sorrido? Mmm, va bene, non importa. La mia situazione di solitudine, apparentemente assoluta, è difficile da capire, anche per me, di tanto in tanto. Vorrei perciò rivolgermi alcune domande, che spero non siano oziose, o addirittura noiose.
Immaginavo volessi parlare. Ti avviso: io sto bene, se non benissimo. Non capisco, pertanto, perché questa intervista dovrebbe essere in alcun modo necessaria. In ogni caso tra poco dovrei tornare a casa, che lo voglia o meno. Monowe appare e scompare, ed io con lei. Siamo una coppia un po’ così, volubile, dovresti saperlo. Non ci piace doverci giustificare. In ogni caso, sono qui, a disposizione.
Sono certa di sentirmi piuttosto bene. Eventualmente, averne ulteriore conferma da me non potrà danneggiarti in alcun modo. Ora che hai ‘letto’ il mio nome sul cartellino, mi diresti il tuo?
Non ho ancora deciso come chiamarmi. Sono il cittadino di Monowe, l’unico. Non sono nata qui ma è da qui che provengo.
Quindi per ora non hai un nome ma sei l’unico cittadino di Monowe… E se io non conoscessi Monowe? Dove si trova? Di che si tratta?
È il luogo in cui vivo. Ad essere precisi, è il luogo in cui vivo io e solo io. Si trova su di un semi-piano parallelo. Non si trova facilmente, ma se vuoi puoi cercarla.
Capisco... Affascinante. Permetti una domanda, cosa intendi per “appare e scompare”? Ascoltandomi ho avuto la forse erronea impressione che si trattasse di una persona, più che di un luogo.
Si vede che sei un ‘medico’ di scarse vedute. Monowe è un orizzonte, come tale definisce un limite tra uno spazio che è mio, ed un altro che non lo è e mai lo sarà. Allo stesso modo tu, cioè io, come persona, definisco un orizzonte tra quel che è mio, e quel che sempre io non sarò. Gli orizzonti si spostano, e con essi il mio tentativo di raggiungerli e possederli pienamente. Questo può essere molto, molto frustrante. Ed ecco che ogni volta che esco da Monowe finisce che sono costretta a parlare con me o con qualche ‘dottore’. Vedi, la differenza è che io vivo dentro Monowe, io esisto e sono completa “in lei”. Purtroppo con te, con me, con voi ecco non posso fare lo stesso, siete in troppi.
Monowe quindi è una città, la tua personale città.
Sì, insomma, ha tutto quello che, urbanisticamente , definisce una città in quanto tale. Diciamo che ha tutto quello che mi serve per star bene. È pulita, ordinata e ha il mio odore. Quando mi sveglio al mattino, ed esco da casa mia, non sento mai la pressione ad essere diversa da quello che sono. Quella è una pressione che viceversa tutti, ma proprio tutti, sembrano subire nel mondo-fuori.
( ... )
Ok, ho capito, questa città ti appartiene, nello spazio e nel tempo, d’altronde ha la mia forma. Ma non senti mai la necessità di un confronto con qualcuno? Non hai bisogni, anche concreti, che solo qualcun altro può soddisfare?
Monowe provvede alle mie necessità, concrete o meno. Inoltre continuo a parlare con te, …cioè con me. È complicato, la solitudine aggiunge valore alle cose preziose. Non posso ricredermi su questo. La solitudine ha aumentato la mia percezione. Ma c’è una cosa strana: quando ho applicato a me stessa la mia percezione aumentata, ho perso la mia identità. Qui non c’è pubblico, nessuno per cui esibirsi. Non c’è bisogno di definirmi. Sono diventata irrilevante, i miei desideri se ne sono andati, non voglio niente, neanche un nome. Per metterla in modo romantico, sono completamente libera.
Ma quando dici che sei diventata irrilevante, che non hai bisogno di definirmi, vuoi dire che non hai più neanche passioni, insoddisfazioni o perfino un senso critico. Vuol dire che ti va bene tutto di Monowe? Non c’è niente che voglio contestare?
Non ho costruito io questa città, mi ci sono trovata, l’ho scelta anzi. In ogni caso ci sono dei momenti e dei luoghi dove mi sento a disagio, che in qualche modo sento di voler contestare, ma il problema è che non sono mai sicura che sia la città a darmi fastidio o sia io stessa a farlo. Dopotutto, come dicevo prima, Monowe provvede a tutte le mie necessità, non sono sicura che io stessa o io sola provveda a tutte le mie necessità.
da Monowe, di Ludovica Carbotta, 2017; contributi al testo di Sara Filippi, Carlo Fossati, Gian Antonio Gilli, Orizzontale, Matteo Respino; performer: Ondina Quadri, 4 novembre 2017